Antifascismo e resistenza in Oltrarno di Stefano Gallerini

Nel suo saggio Gallerini ci presenta l’Oltrarno come il “cuore pulsante dell’antifascismo popolare fiorentino”, tratteggiandone il carattere di “quartiere ribelle e sovversivo per eccellenza” sin dal Medioevo: già in occasione del Tumulto dei Ciompi piazza Santo Spirito aveva infatti rappresentato uno dei principali centri di irradiazione della rivolta. Da sempre abituata a lottare contro fame e miseria, la popolazione d’Oltrarno subì ulteriori delusioni negli anni dell’unità d’Italia: prima, a seguito dell’esito moderato delle lotte risorgimentali, venuto a frustrarne le aspirazioni a sbocchi più radicali ed egualitari; poi, per l’aggravarsi della situazione economica dovuto al trasferimento della capitale del regno da Firenze a Roma.

Essendo concentrati in San Frediano e nelle sue adiacenze tre dei più importanti stabilimenti industriali cittadini – la Fonderia del Pignone, la Manifattura Tabacchi e la Società per l’illuminazione a gas – l’Oltrarno divenne naturalmente la culla fiorentina del pensiero anarchico e socialista, alimentando ulteriormente l’istinto di ribellione dei suoi abitanti. Gli anarchici in particolare vi si insediarono fin dagli ultimi decenni dell’Ottocento, trovandovi terreno fertile dal momento che la composizione sociale del quartiere – artigiani, operai, garzoni, facchini, precari, disoccupati – era tale da favorire al massimo la loro azione di propaganda e proselitismo. Fu soprattutto nei numerosi laboratori artigianali che si diffusero il culto della libertà individuale e del lavoro creativo, l’avversione verso ogni forma di inquadramento coatto, il rifiuto di una disciplina imposta autoritariamente.

Il risultato di tali fermenti fu la nascita di varie associazioni che si richiamavano all’Internazionale socialista: a cominciare dalla Società di mutuo soccorso del Pignone. Dopo avere costretto al ballottaggio e alla caccia all’ultimo voto il candidato liberale Cesare Merci già in occasione delle elezioni politiche del 1904, cinque anni più tardi fu il socialista Gaetano Pieraccini a spuntarla: Santo Spirito risultò così il primo ed unico collegio dei quattro in cui era divisa la città a vedere l’elezione di un candidato della sinistra.

Nel giugno del ‘14 fu ancora l’Oltrarno il principale protagonista fiorentino di quella sequenza di agitazioni, scioperi e sommosse che caratterizzarono in tutta Italia la “settimana rossa”: al punto che il prefetto rimarcò come in San Frediano “abbondassero i sovversivi e si annidassero i peggiori elementi della malavita”, sottolineando come le stesse guardie cittadine non osassero avventurarvisi da sole, dato il forte rischio di incorrere in ingiurie e aggressioni. Il rione faceva registrare il tasso di analfabetismo più alto di tutta la città; assai diffuso vi era inoltre l’alcolismo. Il degrado in cui versavano molte delle sue contrade indusse allora le autorità a mettere a punto un progetto di risanamento edilizio il cui principale scopo sarebbe stato proprio quello della messa in sicurezza del quartiere dal punto di vista dell’ordine pubblico.

Senonché a scompaginare tale piano intervenne il primo conflitto mondiale; cui fece seguito alle elezioni del ‘19 l’affermazione del Partito socialista, che se a livello nazionale si attestò ad un già cospicuo 32%, a Firenze balzò addirittura oltre il 50. Nel corso del “biennio rosso” –  caratterizzato da manifestazioni e violenze che parvero dischiudere al Paese una prospettiva di tipo sovietico – il popolo d’Oltrarno non rimase a guardare, rendendosi protagonista in particolare dei tumulti annonari del luglio ‘19 (per protesta contro l’aumento indiscriminato dei prezzi dei generi di prima necessità) e dell’occupazione delle fabbriche del settembre dell’anno successivo.

Contro quella nuovamente bollata dalla prefettura come la “roccaforte degli anarchici e dei pregiudicati” si scatenò allora la controffensiva fascista, proprio all’indomani dell’assassinio di Spartaco Lavagnini. Sin dalle prime ore del mattino del 28 febbraio ‘21 si registrarono in Oltrarno scontri fra abitanti del quartiere e camicie nere, intenzionate a domare anche la parte della città notoriamente a loro più ostile. La “spedizione punitiva” fu però respinta; il che indusse gli squadristi a fare ritorno nel pomeriggio con il supporto della forza pubblica. Nel frattempo però la voce della resistenza era corsa per tutto il quartiere, suscitando la mobilitazione antifascista: nonostante l’imponente schieramento di esercito e forze dell’ordine, il nuovo assalto si infranse contro le barricate erette in San Frediano, in quelle stesse strade che vedevano le quotidiane operazioni di polizia contro i malavitosi.

Il rione si trasformò così in un campo di battaglia, con epicentro in piazza Tasso e numerosi fatti di sangue che si verificarono un po’ ovunque, ed il più celebre dei quali sarebbe rimasto quello che ebbe quale sfortunato protagonista Giovanni Berta. A sostegno della rivolta sanfredianina, abitanti del Pignone si erano posti a presidio del “ponte sospeso” – la passerella che scavalcava l’Arno nel punto in cui oggi sorge il ponte alla Vittoria – allo scopo di impedire eventuali manovre di accerchiamento contro gli insorti. Berta, militante fascista nonché figlio del proprietario di una delle più importanti fonderie cittadine, si trovò a transitare di lì in bicicletta; individuato per via del distintivo del Fascio appuntato alla giacca, fu dai nemici inseguito, catturato, pestato e infine scaraventato in Arno.

Alla fine l’insurrezione fu domata; per quanto episodi di vera e propria guerra civile continuassero a verificarsi sia in città che nella periferia ancora per due giorni, per un bilancio finale di 16 morti, 200 feriti e oltre 450 arresti. Ma ormai l’Oltrarno si era guadagnato la fama di quartiere antifascista per eccellenza: tanto che di lì il fascismo sarebbe partito per conquistare tutta la Toscana, fino alla Marcia su Roma.

La penetrazione fascista in Oltrarno vide quale primo atto la distruzione di quell’associazionismo popolare tanto diffuso nel tessuto sociale del quartiere: a sostituire il quale intese provvedere il gruppo rionale fascista “Luporini”, al duplice scopo di inquadrare la popolazione in modo che aderisse alle varie iniziative imposte dal regime e di catturarne il consenso mediante l’avviamento di tutta una serie di attività assistenziali e ricreative. In particolare, furono aperti spacci che offrivano generi alimentari di qualità ma a prezzi accessibili anche alle classi meno abbienti. Le vecchie abitudini dello squadrismo non furono comunque dismesse, bensì rispolverate ogniqualvolta se ne presentasse la necessità. Sotto l’abile regia di Lorenzo Gambacciani – l’indiscusso “ras” dell’Oltrarno – il fascismo tese a dare di sé l’immagine della forza politica che meglio di qualunque altra era in grado di rappresentare il quartiere nella sua specifica identità; sino a presentarsi come l’erede più credibile e l’interprete più fedele delle tradizioni popolari di San Frediano, celebrato come il “cuore di Firenze”.

Aggressioni, imboscate, accoltellamenti di fascisti continuarono tuttavia a verificarsi anche negli anni d’oro del regime, a testimonianza del fallimento di ogni tentativo di “bonifica” del quartiere; ove non venne mai meno l’attività clandestina dei movimenti di ispirazione anarchica, socialista e comunista. Paradossalmente fu proprio l’amnistia concessa nel ‘32 da Mussolini per celebrare il decennale della presa del potere a provocare la scarcerazione di un gran numero di detenuti politici, che ovviamente andarono a rimpinguare le file dell’antifascismo; per cui l’Ovra – la polizia politica – ebbe sempre in Oltrarno un gran da fare, con conseguenti nuovi invii al confino.

Le relazioni clandestine degli oppositori fiorentini del regime ci documentano che nel corso degli anni Trenta la situazione dei quartieri popolari della città divenne drammatica: anzitutto a causa della tubercolosi, che fece numerose vittime senza che le autorità sapessero prendere efficaci contromisure sanitarie; quindi per la fame, dal momento che alla diminuzione dei salari non corrispose un adeguato ribasso dei prezzi. Il regime fu accusato di avere accentuato gli effetti della crisi economica mondiale da una parte sperperando denari a favore delle classi più abbienti (si pensi soltanto all’istituzione del Maggio musicale), dall’altro strangolando il ceto artigiano con esose misure fiscali: “Firenze, centro eminentemente artigiano, è completamente rovinata”. Né meglio andava ai lavoratori delle fabbriche: “La disoccupazione provoca la concorrenza tra gli operai che, pur di lavorare e specialmente di avere un lavoro duraturo, si contentano di salari incredibili: ce ne sono di quelli che lavorano per 8 lire al giorno. Ciò avviene nelle piccole officine e nell’artigianato, contribuendo a sviluppare una concorrenza così feroce che la massima parte degli artigiani si trova in condizioni disperate”.

Nel corso della guerra di Spagna poi “negli esercizi pubblici, specie nelle tarde ore serali, convengono elementi sovversivi e persone politicamente sospette per ascoltare le trasmissioni estere e segnatamente della radio di Barcellona”, segnalava il questore nel ‘37. La speranza degli antifascisti era quella che i rovesci subiti dai nazionalisti in Spagna potessero preludere alla caduta del regime in Italia; donde l’imposizione agli esercenti di tenere spenti gli apparecchi dopo le 23. Ma vi furono anche locali – non solo in Oltrarno – che a causa di tale attività radiofonica ebbero a patire delle incursioni squadristiche. Dopo le leggi del ‘38, la popolazione del quartiere si prodigò inoltre in favore dei perseguitati razziali.

Allorché fu chiaro che la partecipazione italiana al secondo conflitto mondiale non sarebbe stata né breve né vittoriosa, e dopo che le rigide restrizioni di guerra ebbero reso la situazione alimentare insostenibile, tumulti scoppiarono nei quartieri popolari cittadini: e ad accendere la miccia della rivolta fu ancora, nel marzo ‘42, il rione di San Frediano. Una nutrita rappresentanza femminile penetrò in prefettura inscenandovi una rumorosa manifestazione al grido di “dateci da mangiare!”; lo stesso fu fatto davanti alla sede del podestà. L’iniziativa attuata dalle popolane “riscaldò alcuni elementi che – scrisse un poliziotto dell’Ovra – nell’intento di far gente diedero la voce nelle porte e tirando i campanelli, mentre l’agitazione guadagnava le strade vicine che sono tra le più miserabili della città”.

Dopo le illusioni rappresentate dal 25 luglio e dall’8 settembre ‘43, l’instaurazione della Repubblica sociale fece sì che l’Oltrarno riprendesse la propria battaglia antifascista in piena continuità con quella che era stata la resistenza del ‘21. In questo quartiere gli attentati dei “gappisti” ebbero quale obiettivo privilegiato le sedi della Wehrmacht, gli ex squadristi, i collaborazionisti; protezione vi trovarono inoltre ex prigionieri di guerra, disertori, renitenti alla leva, ricercati per motivi politici. Dopo il successo fatto registrare dallo sciopero del 3 marzo ‘44, San Frediano fu fatto oggetto di due rastrellamenti, con i quali furono avviate ai campi di concentramento tedeschi diverse persone.

Piuttosto che piegare la popolazione d’Oltrarno, tuttavia, la durezza della repressione nazifascista ne rafforzò ulteriormente la volontà di lotta; in previsione della liberazione della città il quartiere si preparò così a diventare nuovamente un campo di battaglia. Conseguentemente, i vari partiti antifascisti decisero di inquadrare le rispettive formazioni combattenti sotto il comando di una delegazione del Comitato di liberazione nazionale appositamente costituita per l’Oltrarno, le cui riunioni avvenivano presso il “Conventino” situato in prossimità di piazza Tasso.

Le azioni di disturbo nei confronti del nemico si infittirono allorché, dopo la liberazione di Roma, fu evidente che le truppe alleate avrebbero puntato sulla Toscana. Il che provocò l’arrivo a Firenze del segretario del Partito fascista repubblicano, nonché ideatore delle Brigate nere, il fiorentino Pavolini che vi si trattenne quasi un mese. All’indomani della sua partenza si scatenò la reazione nazifascista, con l’incursione il 17 luglio nei locali del Conventino, l’arresto dei dirigenti del Cln ivi riuniti e soprattutto, una settimana più tardi, la fucilazione alle Cascine di diciassette antifascisti, per mano della banda Carità. Ai funerali non mancò di partecipare il popolo di San Frediano, “trasformando la cerimonia funebre in una manifestazione di massa che voleva esprimere al tempo stesso lo sdegno verso i fascisti e la solidarietà verso le vittime”.

Già il 31 luglio veniva ricostituita una delegazione antifascista di Oltrarno: la quale il giorno successivo annunciò mediante un manifesto affisso in tutto il quartiere l’assunzione dei pieni poteri civili e politici. Il 3 agosto il comando germanico proclamò lo stato di emergenza, con il divieto per la popolazione di uscire di casa; la notte furono fatti saltare i ponti. Nel frattempo lo stato maggiore repubblichino della città – il prefetto Manganiello, il federale del Pfr Polvani nonché il braccio destro dello stesso Pavolini, Pucci, dal segretario appositamente lasciato a Firenze – in previsione dell’imminente arrivo degli Alleati aveva curato l’organizzazione di un corpo di franchi tiratori il cui compito sarebbe stato quello di seminare il terrore per le strade cittadine in modo da ostacolare e ritardare il più possibile movimenti e operazioni dei nemici.

Armati di fucili e mitragliatrici, i cecchini si disposero sui tetti dell’Oltrarno, essendo stato lasciato ai tedeschi il compito di bombardare dalla sponda opposta: scopo precipuo di tale operazione congiunta era infatti quello di proteggere la ritirata germanica, guadagnandole tempo con il disturbare l’arrivo dei “liberatori”. Quel che è certo è che accettando di schierarsi da quella parte i repubblichini avevano messo in conto di doversi immolare per la causa del nazifascismo: asserragliati in cima a quegli edifici, a differenza dei camerati germanici difficilmente essi avrebbero potuto avere vie di scampo. Del resto la “bella morte” avrebbe rappresentato l’ultima parola d’ordine della ormai spacciata repubblica mussoliniana.

“L’Oltrarno si trovò quindi nella situazione paradossale di essere la prima zona libera della città, ma anche la prima a sperimentare sulla pelle dei propri cittadini il frutto avvelenato lasciato in eredità ai fiorentini dalla dominazione nazifascista. Infatti, già il 4 agosto, quando prima gli Alleati e poi i partigiani facevano il loro ingresso a Porta Romana, si materializzò il pericolo rappresentato dai franchi tiratori fascisti, che fin da subito cominciarono a sparare contro la popolazione civile: furono colpite addirittura molte donne che erano in coda a prendere l’acqua o in fila presso i negozi di generi alimentari aspettando la distribuzione del pane”.

Le raffiche fecero una trentina di vittime; si sparava dai tetti, dagli abbaini, dalle persiane socchiuse: “si può dire che non c’era un angolo dell’Oltrarno che non fosse un’insidia”. I cecchini erano appostati dappertutto: ironia della sorte, anche in luoghi-simbolo della tradizione antifascista, come lo stesso Conventino e il dormitorio pubblico di via della Chiesa. Per ovviare all’imprevista situazione – che non accennò a scemare neppure nei giorni successivi – gli Alleati decisero di organizzare un capillare rastrellamento in modo da bonificare l’intero quartiere e metterlo definitivamente in sicurezza; ma affidandolo ai partigiani, e con l’ordine di consegnare loro vivi i fascisti che fossero riusciti a catturare. Esso scattò la mattina del 9 agosto: nonostante l’operazione andasse avanti per l’intera giornata, passando al setaccio ogni contrada e braccando il nemico casa per casa, questo non si diede per vinto. Per domare la strenua resistenza repubblichina fu perciò necessario proseguire la battaglia nella mattinata successiva.

Alla fine si registrarono numerosi morti, da ambo le parti. Secondo la memorialistica resistenziale – tesa ovviamente ad esaltare il ruolo giocato dai partigiani nella liberazione della città – i cecchini neri sarebbero stati più di 500, 200 dei quali fiorentini ed i restanti del Nord. Ne furono comunque catturati circa 150, per essere portati nella sede del distretto militare di piazza Santo Spirito e interrogati da una commissione partigiana appositamente costituita. Mentre riguardo la cifra complessiva dei caduti d’Oltrarno in quella settimana di fuoco, considerando anche i cittadini morti per effetto dei colpi di cannone e di mortaio sparati dai tedeschi dall’altra sponda si contarono un centinaio di vittime; la maggior parte delle quali furono sepolte nel giardino di Boboli.

Ma per Firenze la guerra non era ancora finita: il comando germanico aveva infatti predisposto una linea difensiva che attraversava la città dalle Cascine all’Affrico, e contro la quale per due giorni si prodigarono i soli partigiani. Fedeli alla loro tattica di evitare lo scontro diretto con i nemici, e aspettando che questi si ritirassero per conto loro, gli Alleati varcarono infatti l’Arno soltanto il 13 agosto, dopo che anche l’ultima retroguardia tedesca ebbe lasciato il suolo cittadino. Il medesimo temporeggiamento dei vincitori fece sì che la “battaglia di Firenze” avesse termine soltanto il 1° settembre, con la liberazione di Fiesole.

Con quest’ultimo allargamento dell’obiettivo si conclude la puntuale ricerca di Gallerini; la quale si fa apprezzare anche per il costante riferimento a statistiche, censimenti, dati sull’urbanistica, sulle condizioni di vita e sul mondo dei mestieri e delle professioni caratterizzanti l’Oltrarno. Frequenti sono i richiami storici e culturali: a cominciare dall’omaggio al San Frediano celebrato da Pratolini. Nello studio rivivono inoltre una miriade di personaggi che furono protagonisti del periodo messo a fuoco, tutti egregiamente tratteggiati e caratterizzati sia dal punto di vista personale che nei rapporti che ebbero con il quartiere e con la città.

Antifascismo e resistenza in Oltrarno di Stefano Galleriniultima modifica: 2020-05-11T20:46:11+02:00da tradersimo
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