Ezio

Dalla natia Reusa i genitori di Ezio si erano trasferiti a Offiano, insediandosi alla Costa e prendendo a mezzadria sia le terre della Pieve che quelle di Filippo, commerciante e possidente di Montefiore. Classe 1925, esauriti gli obblighi scolastici Ezio ancora bambino si era unito ai quattro fratelli nel supportare i genitori nella gestione di tutti quei poderi.

La guerra non aveva inciso più di tanto sulla vita di questa remota parte di Lunigiana fino al ‘44, anno in cui i tedeschi individuarono nelle montagne apuane il baluardo occidentale della loro Linea Gotica. In particolare, la situazione per i giovani in età di leva si fece critica con l’emanazione del Bando Graziani, che nel febbraio dello stesso anno richiamò alle armi gli appartenenti alle classi ‘23, ‘24 e ‘25. Non intendendo arruolarsi nella Repubblica Sociale e non essendosi ancora formate bande partigiane, i renitenti di Montefiore scelsero allora quale nascondiglio una capanna posta nel bosco del Falcetto, dominante la Pieve di Offiano.

Qui i familiari venivano quotidianamente a portar loro da mangiare; ma i laboriosi genitori di Ezio ebbero anche un’altra pensata. Intuito che quella segregazione non si sarebbe risolta entro breve, presero a rifornire il figlio del materiale necessario allo svolgimento di occupazioni domestiche quali il lavoro a maglia e la riparazione delle scarpe: così il ragazzo avrebbe avuto il modo sia di sconfiggere la noia, sia di impiegare costruttivamente il tempo continuando a dare il proprio contributo all’economia familiare pur da imboscato.

Con l’intensificarsi dei rastrellamenti che nell’estate segnarono l’effettiva presa di possesso del territorio da parte germanica, i giovani montefiorini si videro costretti a lasciare quel rifugio, che aveva peraltro lo svantaggio di essere situato in prossimità del sentiero per il Castello di Regnano, sede del primo gruppo partigiano della zona. Per Ezio ebbe così inizio un periodo pieno di peripezie: dopo una breve esperienza partigiana su Monte Tondo, un momentaneo ritorno al Falcetto allorché le acque parvero essersi placate e un fortunoso passaggio del fronte dopo l’eccidio di Regnano, egli finì a Bologna, come operaio dell’Organizzazione Todt, a riparare le strade danneggiate dai bombardamenti, potendo fare ritorno a casa solo a guerra conclusa.

Ma il nostro aveva una natura troppo versatile per limitarsi ai lavori rurali. Per prima cosa, andò a perfezionare l’arte calzaturiera in Garfagnana, nella bottega di un calzolaio di Magliano; inoltre, tagliandosi a vicenda i capelli con i fratelli, egli scoprì una certa affinità anche con pettine e forbici. Cosicché Montefiore avrebbe a lungo fruito di questa singolare figura di Figaro campagnolo, factotum del paese; e dopo che succedendo ai genitori fu divenuto lui il contadino di Filippo, insediandosi nella pertinente abitazione, al sabato la rustica cantina dal pavimento in tavole si trasformava nel più pittoresco dei saloni.

Alle occupazioni agresti Ezio avrebbe dedicato una vita, sfidando il succedersi delle età, delle epoche e dei costumi. A scandire le sue giornate erano i tempi dettati da madre natura: si alzava all’alba per portare le mucche al pascolo, per poi andare a lavorare la terra; alla sera, a buio, la mungitura, nella stalla in mezzo al paese ove puntualmente giungevano i paesani, a ricevere il latte direttamente dal secchio. Estate o inverno, per lui non faceva differenza; nella stagione più calda, all’imbrunire lo incontravi che rientrava con le bestie, colorito ed aitante nella sua divisa composta dalla spessa canottiera smanicata di lana, pantaloni blu e scarponi. E così capivi che quell’abbigliamento serviva a proteggerlo nelle ore meno soleggiate, e che l’abbronzatura e la prestanza degna di un atleta erano frutto del duro lavoro nei campi.

Sempre il primo a salutare, gentile e rispettoso con tutti, parlava pacato e sorridente, con ragionevolezza e senza mai dire una parola di troppo. Era tutto casa e lavoro: mai una partita a carte o una bevuta alla bottega, mai una chiacchiera, mai una discussione; immancabile la domenica alla messa. Coi risparmi di una vita si comprò una bella casa in paese; ma che non poté godersi appieno, data la brutta malattia che colpì la moglie, costringendolo anche a modificare le proprie abitudini. A metà mattinata lasciava il podere per recarsi al capezzale della consorte, cui per lunghi anni seppe prestare le cure più amorevoli. Per poi tornare alla vita di sempre, una volta rimasto solo, curando i terreni di Filippo e quelli della chiesa.

Nel frattempo il paese era profondamente cambiato, prima spopolato per il fenomeno dell’emigrazione dei giovani, in seguito decimato dalla dipartita degli anziani, con la conseguente chiusura delle abitazioni, sempre meno frequentate dagli eredi anche per la villeggiatura. Ma per Ezio era come se il tempo non fosse passato: lo vedevi e ti sembrava sempre un ragazzino, nella sua figura dritta e slanciata, e con quel suo sorriso ammaliante, candido come il suo animo. In pratica era diventato il simbolo di un Montefiore che nel volgere di qualche lustro era scomparso, ma che non era facile dimenticare.

Alla fine a costringerlo a ridurre l’attività fu più il mutamento epocale che non l’incedere degli anni: prima diede via le mucche, poi lasciò i terreni di Filippo, infine anche quelli della Pieve. Ultimo dei fratelli a rimanere in vita, si dedicò allora alla manutenzione delle proprietà della Costa: ed era impressionante vederlo, ultranovantenne, zappare l’orto con la consueta energia. Se invece lo trovavi sulla strada, era un piacere il fermarsi a salutarlo, lucido e amabile come sempre. Così fino all’ultimo dei suoi giorni.

Ezioultima modifica: 2020-09-08T20:59:34+02:00da tradersimo
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