Confronto fra il San Pellegrino in Alpe e il Mortirolo

Mettiamo a confronto quelle che, dal punto di vista delle pendenze, possono essere considerate le due salite più dure d’Italia: il San Pellegrino in Alpe, situato sull’Appennino Tosco-Emiliano in Garfagnana, e il Passo del Mortirolo, valico alpino lombardo che mette in comunicazione la Valtellina con la Valcamonica.

L’origine di entrambe le strade è legata all’alpeggio, alla necessità cioè di portarvi le bestie al pascolo nel periodo estivo. Soltanto nel secolo scorso esse sono stare rese carrozzabili e asfaltate: ma con una differenza. La carreggiata della montagna toscana, servendo un paese tutto sommato turistico essendo sorto in funzione del celebre Santuario di San Pellegrino, è stata anche allargata; mentre quella del passo alpino è rimasta stretta come un tempo: anche perché – al di là della notorietà regalatale dal Giro d’Italia – per l’automobilista essa non rappresenterebbe altro che una scomoda e desolata alternativa rispetto al più agevole e confortevole Passo dell’Aprica.

La sfida alla quindicina di chilometri che ci conducono ai 1524 m di San Pellegrino in Alpe si lancia partendo dai 369 m di Pieve Fosciana. Presto si trova un bivio la cui segnaletica fa subito capire al baldanzoso arrampicatore quello che sta per andare ad affrontare: si tratta infatti di un giro ad anello la cui meta è la medesima sommità, ma con la differenza che scegliendo il versante del Passo delle Radici i chilometri da percorrere risulterebbero poco meno del doppio. Per un lungo tratto si pedala in estrema scioltezza, affrontando tornanti più che abbordabili e vedendosi pienamente confermato il valore della pendenza media del percorso, corrispondente ad un ordinario 7,4%; distolto da un certo momento in poi dall’incomparabile scenario offerto sia dalle prospicienti Alpi Apuane che dalle vallate sottostanti, al cicloturista al debutto su questa salita potrebbe anche capitare di chiedersi il motivo per cui un’escursione così amena venga dipinta come un incubo.

La musica parrebbe cambiare allorché si supera il borgo di Chiozza: ad un chilometro all’8,4% segue infatti una rampa che per qualche centinaio di metri ci impegna al 12,5%, facendoci immaginare l’inizio dell’erta vera e propria. Ma è solo un falso allarme: una volta superatala, riprende la passeggiata di salute, intervallata qua e là da qualche strappo più impegnativo. Quando abbiamo già coperto i ¾ della distanza, giunti ai 1160 m di Boccaia a complicare ulteriormente le cose intervengono 500 metri di discesa. A quel punto non serve un matematico per capire che nei poco più di due chilometri che mancano al paese dovremo sorbirci un dislivello di circa 400 metri.

Si comincia con due terrificanti impennate che, una dopo l’altra, danno una prima possente legnata ai muscoli dell’ardimentoso pedalatore; per poi affrontare tesi allo spasimo la serie di tornanti che ci conducono sino al piazzale del Santuario, e la cui difficoltà risulta anche in questo caso crescente: al punto che chi supera anche questi senza mettere piede a terra riceve dalla Pro loco un diploma. Per quanto la fatica non sia affatto finita: c’è infatti da inerpicarsi per un altro paio di chilometri – fino a giungere ai 1617 m del Passo di Pradaccio – che non saranno duri come quelli alle nostre spalle ma che a questo punto pesano comunque sulle gambe come macigni.

Tutt’altra fisionomia assume la salita che dai 552 m di Mazzo di Valtellina conduce, in poco meno di dodici chilometri e mezzo, ai 1852 del Passo del Mortirolo, per una pendenza media del 10,6%. Non essendovi – a differenza di quella appena descritta – borgate lungo il percorso, essa risulta quasi interamente lambita dalla vegetazione. Come detto, a renderla celebre è stato il Giro d’Italia, che l’ha adottata nel 1991; a mitizzarla invece Marco Pantani, con una leggendaria impresa realizzata tre anni più tardi.

L’ascesa è nettamente divisibile in tre parti. Pur presentando punte fra l’11 e il 12%, i primi tre chilometri appaiono tutto sommato uno scherzo rispetto a quanto ci attende, non costringendoci a sforzi eccessivi. La svolta si ha subito dopo la chiesa di S. Matteo: e serve giusto una mano santa a spingerci nei tre chilometri successivi, prova del fuoco per ogni scalatore presentando una pendenza media superiore al 14% e con due strappi che rasentano il 20% in grado di mettere in ginocchio chiunque. Superato questo primo terribile esame, accade una cosa curiosa: essendo tutto il percorso scandito da cartelli che intendono aiutare l’ardito grimpeur a pianificare l’impresa segnalandogli il dislivello del chilometro in arrivo, si giunge a rallegrarsi nel vedersi annunciare un tratto che sale “appena” al 13,5%!

Il settimo e l’ottavo chilometro concludono il tratto più impegnativo, con pendenze medie che rispecchiano quelle dell’intera salita e che culminano nell’erta più dura: 400 metri oscillanti tra il 16 e il 20% in cui l’arrembante ciclista non può che procedere a passo d’uomo, venendo comunque rispettato nell’immane sforzo profuso dall’automobilista impossibilitato a sorpassarlo data l’angustia della sede stradale. Mentre a spronarlo interviene il monumento a Pantani, addossato al muro di un tornante a rappresentare il mitico Pirata allorché spiccava il suo aquilino volo.

Gli ultimi quattro chilometri presentano dislivelli in linea con la media generale, ma con ancora due strappi più che severi che superando il 15% infliggono l’ultima sferzata alle residue energie dell’indomito grimpeur; il quale dal canto suo giunto a questo punto preferirà morire piuttosto che arrendersi. Rispetto a quel che si è passato, l’ultimo chilometro all’8% diventa praticamente pianeggiante, con il bosco che si apre lasciando il posto ai pascoli e soprattutto alla soddisfazione di chi sta per vedere coronato il proprio sogno.

Ed ora un confronto tra le due salite. La fredda comparazione della media delle pendenze ci dice che ogni 100 metri il Mortirolo sale 3,2 metri in più rispetto al San Pellegrino: e già questo depone ovviamente per la maggiore durezza del passo alpino. Il quale non dispone di quei tratti pianeggianti che sulle ascese lunghe e impegnative consentono al ciclista di rifiatare, alleggerendo lo sforzo e ricaricandosi per l’erta successiva: ce ne sono giusto un paio, brevi e poco significativi. Proviamo allora a cercare altri termini di paragone nelle caratteristiche delle due montagne, magari meno tecnici e più emotivi.

Il San Pellegrino presenta quest’altimetria così particolare per cui, dopo una dozzina di chilometri lungo i quali – tutto sommato – ciò su cui si è maggiormente concentrata la nostra attenzione è stato il paesaggio, gli ultimi due chilometri e mezzo rappresentano una vera e propria sfida all’impossibile, e in cui la prima, spaventosa rampa la cui sola vista pare voler consigliare al cicloturista di farla a piedi non è che l’antipasto di pettate e tornanti sempre più micidiali. Con risvolti anche paradossali: allorché si avvista finalmente il paese, non si crede ai propri occhi, vedendolo così in alto rispetto a noi e sapendo che mancano soltanto due chilometri; nel senso che ci si domanda se lo si raggiungerà tramite la strada o non piuttosto a mezzo di una scala. Inoltre, sul cartello che annuncia la prossimità del villaggio sta scritto: “il paese più alto dell’Appennino”. Vi si potrebbe tranquillamente aggiungere: “il cartello più alto rispetto a chi lo legge”, sormontando esso proprio la rampa d’uscita del tornante più pazzesco.

Tutto sommato più pianificabile la sfida al Passo del Mortirolo, con la prima parte in qualche modo abbordabile, i sei chilometri centrali da percorrere come in apnea e raccomandandosi al Cielo, il finale ancora impegnativo ma supportato da quel surplus di energie che inevitabilmente sopraggiunge allorché si sente vicina la meta. C’è poi un particolare che ti fa capire l’unicità di questa strada: se la percorri in discesa, a un certo punto ti viene voglia di farla a piedi, dal male che ti fanno le mani a furia di tirare i freni. Perché la sua strettezza, la mancanza di dirizzoni degni di questo nome impediscono sempre di fare un minimo di velocità, se non si vuol correre il rischio di andarsi a schiantare.

E allora noi la risposta al quesito quale delle due salite sia più dura non la diamo, preferendo lasciarla alla psicologia, al modo di vivere la bicicletta e le sue avventure di ciascuno. Piuttosto proponiamo un divertissement: uno scherzo della vita per cui l’audace cicloamatore partito da Mazzo dopo dieci chilometri di sovrumana fatica si ritrova, invece del finale del Mortirolo, quello del San Pellegrino. Questa sì che sarebbe la salita più dura del mondo!

Confronto fra il San Pellegrino in Alpe e il Mortiroloultima modifica: 2019-08-28T21:12:31+02:00da tradersimo
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