Ricordo di Salvio Cervone

Il 14 febbraio scorso è venuto a mancare, all’età di 76 anni, Salvio Cervone, storica voce del trotto napoletano; a portarselo via è stato, nel giro di pochi giorni, il coronavirus. La notizia ha colto di sorpresa tutti gli appassionati: ancora il 22 gennaio Salvio aveva commentato con la consueta verve le corse di Agnano, e la sua assenza nei convegni successivi era stata attribuita dai colleghi a una sciatalgia. Nulla insomma lasciava presagire una fine così repentina.

Il destino ha voluto che il telecronista ci lasciasse nelle prime ore del mattino di una domenica: giorno che da sempre Agnano dedica al trotto. L’omaggio tributatogli dall’ippodromo nel corso della riunione pomeridiana non avrebbe potuto essere più commovente: sulle note di Napule è (la struggente canzone di Pino Daniele che fa da preludio alla finale del Gran Premio Lotteria), i guidatori impegnati nel convegno si sono raccolti in pista davanti alla tribuna, sostituendosi al pubblico – assente a causa della pandemia – nel rivolgere all’amato speaker l’ultimo applauso. C’erano tutti, i protagonisti dell’anello di sabbia partenopeo, a ciascuno dei quali “Zio Salvio” aveva assegnato il suo bravo soprannome: da Blue jeans al Francesino, dall’Omino di Agnano a Morgan, da Manine dolci al Falso magro, dal Ragioniere alla Pasionaria, da Caterpillar a Jorginho.

Non v’è dubbio che Cervone sia stato un personaggio unico, nell’ippica come nel giornalismo. Il trotto l’aveva respirato fin da bambino, nascendo da una famiglia di proprietari che nel ‘73 era giunta a conquistare il Derby con Unno, soggetto allevato in Campania e dunque infrangendo lo storico strapotere esercitato sull’ippica nazionale dagli allevamenti del Centro-Nord. Allevatore a sua volta, in gioventù si era cimentato anch’egli alle redini lunghe, nella categoria dei gentlemen, con risultati più che lusinghieri.

Quando nel corso degli anni Ottanta le trasmissioni televisive delle corse avevano iniziato a sostituire nelle agenzie ippiche la telescrivente fino a coprire tutti gli ippodromi nazionali, l’appassionato si era trovato di fronte a uno spettacolo inedito. Mentre le telecronache dello storico cantore dell’ippica italiana, il grande Alberto Giubilo, si erano sempre caratterizzate per l’impersonalità, l’aplomb, l’assoluta mancanza di inflessioni dialettali come di particolari concessioni al colore, con l’avvento della tv nelle sale corse era entrata – sulla scia dei precursori Franco Ligas e Diego Valli – una schiera di nuovi cronisti, ciascuno dei quali linguisticamente caratterizzato ed il cui stile finiva con il rispecchiare lo spirito della regione di appartenenza: un po’ come i pittoreschi corrispondenti calcistici di Novantesimo minuto.

Su tutti si era imposto Salvio Cervone: per il mix di competenza e passionalità che caratterizzava il suo modo di raccontare le corse, il popolo dei giocatori di cavalli lo aveva immediatamente eletto a proprio beniamino. Anche perché in caso di arrivi particolari il suo primo pensiero andava proprio agli scommettitori: “suona la sirena della giuria: quindi conservate i biglietti”; “l’ordine d’arrivo è 1-3, ma c’è rapporto di scuderia: quindi va bene anche 3-1”.

Con il passare del tempo egli aveva modificato il suo stile, accentuandone la carica di napoletanità con sempre maggiori concessioni allo spettacolo, talvolta al cabaret, fino ad abbandonarsi a cronache in pieno stile sudamericano, alle quali mancava solo il sottofondo musicale dei ritmi latini più scatenati. L’escalation raggiungeva il top il giorno del Lotteria, in cui Cervone fin dalla prima batteria vestiva i panni dello showman trasformando la voce in un ordigno, quasi a dare la carica a tutti e giocando in particolare su di un allungamento delle vocali degno di Massimo Ranieri.

“Allacciate le cinture, ci saranno turbolenze”, era poi il rituale annuncio allo stacco della macchina nella finale, commentata con un pathos sempre al limite dell’infarto. Particolarmente pirotecnici i suoi accompagnamenti ai tre trionfi di Varenne, in cui i vari “me gusta”, “fiesta”, “standing ovation”, “vamos” ripetuti all’infinito dal primo tifoso del fuoriclasse di proprietà partenopea scandivano la retta d’arrivo precludendo ogni possibilità di analisi tecniche e commenti ragionati.

Salvio in quella lunga domenica di primavera non era solo il cronista ma il vero e proprio animatore dell’evento clou di Agnano, dal primo saluto all’ora di pranzo fino alla premiazione, illuminata dagli ultimi raggi del sole. Memorabile il suo commento alla prima vittoria di un guidatore napoletano, giunta peraltro in sulky al cavallo meno atteso e al termine di una dirittura in cui il tripudio del pubblico aveva accompagnato e sospinto l’affondo del beniamino locale: “Se ne cade l’ippodromo!”. Così come “Canta Napoliiiiiiii” era il ruggito che immancabilmente metteva il sigillo al successo di una scuderia locale in un gran premio.

Del resto la città del sole era sempre ben presente nelle cronache del nostro, e ogni occasione  buona per evocarla, anche facendo riferimento ai capricci del meteo: “e questa è Napoli”. “Oggi Zio Salvio si è portato il costume e l’ombrellone”. “Galoppa Bacoli: d’altronde a Bacoli si va d’estate, a fare il bagno, mica in inverno…”. “1.20.2 la media al chilometro, roba d’altri tempi; ma non fateci caso al tempo signori, oggi veramente è da lupi, piove a dirotto, fa un freddo: vediamo pure qualche pinguino qua…”.

L’ironia era il sale dei suoi racconti, facendo capolino praticamente in ogni corsa, talvolta inaspettata ma soprattutto giocando sul nome dei protagonisti. “Viene via alla grande Spaccio: è aperto oggi lo spaccio, eccome se è aperto…”; “avanza Rullo: ed è proprio un rullo compressore…”; “la Benedetta viene a chiedere strada alla Belva; speriamo che non litigano: è una belva…”; “a dispetto del nome Biagio non va adagio, ma va via di gas”. Ma anche l’autoironia: “Vince alla grande Zio Salvio: che non sono io, ma il cavallo!”. Perché ultimamente Cervone aveva avuto anche la soddisfazione di vedere non uno ma due trottatori portare il suo nome.

Tanti erano i pezzi del repertorio del mattatore di Agnano: a cominciare dai nomi d’arte. Nel nominare i guidatori c’erano colleghi che non brillavano per sobrietà: alcuni li indicavano con il solo nome di battesimo, con impropria familiarità; altri li citavano sempre per nome e cognome, anche più volte nella stessa corsa, meccanicamente quanto pedantemente. Salvio invece aveva risolto il problema nella maniera più originale, ricorrendo ai soprannomi; mai banali, ma che anzi denotavano cultura, arguzia, fantasia: “Pietro il grande”, “Tony young”, “D’Artagnan”. Alcuni poi facevano rivivere celebri personaggi delle cronache novecentesche, di ogni genere: “il Cannibale”, “il bel René”; l’ultimo assegnato “il Patron”, al driver del Nord che vinceva tutti i gran premi allenando al contempo diversi degli altri concorrenti. Mentre l’amato “Roberto nazionale” (dal nostro peraltro annoverato come “napoletanissimo” nonostante fosse di Aversa) diventava anche “internazionale” dopo l’affermazione nell’International Trot.

L’onore dell’appellativo era toccato anche a qualche cavallo, en passant. Celebre quello attribuito a Fan Idole, protagonista del Lotteria e prontamente ribattezzata “la Ballerina” per il caratteristico tentennare della testa che finiva con il conferire alla sua andatura un incedere un po’ caracollante.

C’era del genio dietro quelle cronache, lo si sentiva chiaramente: lo stesso genio dei grandi artisti nati all’ombra del Vesuvio. Ma anche una grande attenzione a quanto accadeva intorno, all’evoluzione del costume, alle canzoni di successo; Cervone era sempre informatissimo, al passo con i tempi, giovane dentro. Anche se qualche volta la nostalgia faceva capolino, specie da ultimo, sotto forma di lampi della memoria: “Vince Barbacarlo… tanti anni fa c’era un cavallo che si chiamava Barbagallo”. “Allunga Barbablù: ve lo ricordate il Barbablù di Giancarlo Baldi?”. Del resto Salvio era uomo del Novecento, al quale il destino aveva assegnato il compito di narrare la fase della rovinosa decadenza della nostra ippica: per cui era naturale che la mente corresse ai suoi anni d’oro.

E poi le sue formule, attingendo a varie lingue e talvolta mescolandole. “Buoni tre anni al via… mezzo meccanico in movimento… otto e quattro fanno dodici… allineamento che gradatamente va a completarsi… prende velocità la macchina… chiuuuuusura… scintille per il comando… difende i birilli… parcheggia col grattino… sarà un classico free way… resta nasino al vento… risale gradatamente la comitiva… si migliora… mezzo miglio gettonato in un minuto e un battito… non ci sono variazioni sostanziali… inizia a cambiare registro il battistrada… 400 alla meta… pochi argomenti per… caaaaaaavalli al completamento della curva fiiiiiinale… è padrone della situation… facile affermazione, in due minuti e un po’ di spiccioli… coast to coast… una promenade de santé: un sans soucis sans problèmes”, tanto per citare un classico musicale della sua giovinezza, in un francese impeccabile.

I tormentoni, che infiammavano la retta d’arrivo; dei quali a un certo punto avvertiva l’usura, accantonandoli e sostituendoli. “No no no problem, very very very good”, “no problem, no stress”, “non c’è più tiempo”, dove non si capiva se tiempo volesse essere spagnolo o napoletano. Le figure retoriche; a cominciare dai chiasmi, peraltro sapientemente interpretati: “nulla muta e nulla cambia, nulla cambia e nulla muta”, pronunciato con flemma a sottolineare l’andamento stagnante della corsa; “ci crede e ci prova, ci prova e ci crede”, declamato invece con enfasi a scandire l’assalto finale del cavallo in rimonta. La puntualità dei riferimenti cronometrici: “chiacchiericcia il mio cronometro”, la ricorrente metafora con cui si avvertiva che davanti si stava andando forte, forse troppo; il vezzo di segnalare anche il riferimento dei ¾ di miglio.

Chapeau!”, il riconoscimento al cavallo autore di una prestazione maiuscola. “Così si guida solo in paradiso”, la gratificazione al driver capace di risolvere la corsa con un’invenzione. “Che fretta c’era?”, la tirata d’orecchi a quello che aveva forzato i tempi gettando alle ortiche la vittoria, espressa come al solito in termini musicali.

Talvolta al cronista nazionale si anteponeva l’annunciatore locale: da tale sensibilità nasceva la notizia preliminare di un lutto che aveva colpito il trotto partenopeo; così come le felicitazioni al proprietario del cavallo vincitore, specie se da outsider, particolarmente calorose a denotare confidenza e simpatia. Gli ultimi anni, poi, Cervone aveva preso l’abitudine di appellare con un “buon” ogni guidatore napoletano: come se fossero tutti – ma proprio tutti – dei benefattori; ma anche dei bonaccioni, vista la varietà delle sfumature di significato dell’aggettivo.

Cosicché lo scommettitore in agenzia – il cui cavallo magari era stato stampato sul palo, o aveva sbagliato a corsa vinta – dopo essersi sorbito la lunga serie di uscite sopra le righe da parte dello speaker (le definizioni apparentemente prive di senso, le espressioni rituali urlate in retta d’arrivo, le congratulazioni all’avvocato Esposito per l’affermazione del suo pupillo), poteva anche pensare: ma questo qua chi vuole prendere per i fondelli?! Ma Zio Salvio non era certo un telecronista ordinario: per cui tutto gli era concesso.

Ricordo di Salvio Cervoneultima modifica: 2021-03-09T20:54:21+01:00da tradersimo
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