Ricordo di Luciano Bechicchi di Giorgio Bertocchi

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo del collega Giorgio Bertocchi. Bolognese, già addetto stampa della Società Cesenate Corse al Trotto, fra gli anni Novanta e i Duemila Bertocchi è stato un apprezzato giornalista driver, fino alla conquista del titolo di Campione italiano.

 

A due anni dalla scomparsa rendiamo omaggio alla figura di Luciano Bechicchi, il guidatore e allenatore bolognese che per più di mezzo secolo ha calcato le piste di trotto di tutta Italia e non solo, avendo corso anche in Francia, Svezia, Danimarca.

Nato nel capoluogo emiliano nel 1928, nel ‘47 Bechicchi entrò a far parte dell’ambiente ippico grazie ai fratelli Molesini, proprietari e guidatori, i quali lo introdussero all’Arcoveggio propiziando il suo fatale incontro con il trottatore. In Emilia Romagna il cavallo era da sempre oggetto di culto; e lo divenne ancor più in quei durissimi anni del secondo dopoguerra, quando l’Italia era a terra, le strade impraticabili e i mezzi di trasporto non animali ridotti al lumicino: per un giovane lavorare in ippodromo era perciò una bella soddisfazione. Luciano ebbe modo di apprendere i rudimenti del mestiere alla scuola di Claudio Menarini – specialista nella preparazione dei puledri – e Luigi Farina, facendosi le ossa con i soggetti della scuderia Boschi e della Santipasta. Nel ‘54 si mise in proprio, con pochi cavalli, all’Arcoveggio, sede alla quale sarebbe rimasto fedele per tutta la carriera.

Per gli appassionati felsinei Bechicchi divenne ben presto un idolo, per la capacità di leggere le corse, l’astuzia nel prevederne l’evoluzione, la freddezza nel saper attendere il momento più propizio e la conoscenza delle caratteristiche degli avversari: dote quest’ultima non trascurabile, consentendogli spesso di risolvere la contesa a proprio favore pur non figurando tra i più attesi. Bisogna dire che allora l’abilità del driver contava parecchio: specie in pista piccola, certe “guidate” riuscivano vere e proprie opere d’arte, compensando la potenziale inferiorità del cavallo con la genialità dell’invenzione. L’anello da mezzo miglio rendeva inoltre fondamentale la partenza: Luciano ne divenne uno specialista, infondendo tale attitudine in molti dei suoi allievi.

“Nano” e “Vecchia volpe” furono i due soprannomi che lo accompagnarono nel corso della sua infinita carriera, che lo vide confrontarsi con colleghi di livello eccelso e appartenenti a diverse generazioni: a cominciare dal leggendario decano del nostro trotto Paolo Iemmi e dai suoi allievi più prestigiosi Sergio Brighenti, William Casoli e Walter Baroncini; per proseguire con Vivaldo, Giancarlo e Lorenzo Baldi, Vittorio e Giuseppe Guzzinati, Nello ed Enrico Bellei, Edoardo e Pietro Gubellini. Mentre tra i suoi antagonisti abituali sulle piste emiliane ricorderemo Florio e Fioravante Barbieri, Ermanno e Moreno Monti, Regolo Cappelletti, Ademaro Evangelisti, Attilio Boscaro, William Caiti, Giordano Fabbroni, Eros Martelli, Mario Rivara, Gianfranco Bongiovanni, Vittorio Ballardini, Valter Castellani.

Ma il Nano era amato dal pubblico anche per il rispetto che portava al nobile animale che gli dava il pane, preferendo alle maniere forti la furbizia: come l’infilarsi intrepidamente tra due avversari che lo precedevano non appena vedeva aprirsi l’insperato varco. “Se il tuo cavallo sbaglia, chiedigli scusa” è del resto l’aforisma lasciato in eredità dal saggio driver bolognese al mondo del trotto. Umanità e lungimiranza prevalevano anche nel rapporto con i collaboratori: essendo il ruolo dell’artiere centrale nella vita di scuderia, a ciascuno di essi erano affidati non più di tre soggetti, in modo da poterli seguire con la massima attenzione.

La rassegna dei cavalli portati dal re dell’Arcoveggio a ottimi livelli o comunque divenuti beniamini del pubblico è interminabile, avendo egli tagliato il traguardo per primo oltre 3500 volte, 22 delle quali in gran premi. Ci limiteremo perciò ai più noti, partendo da Rosset la cui vicenda è indicativa dell’intelligenza e dell’umiltà che caratterizzavano Bechicchi: essendosi reso conto delle potenzialità del puledro, il cui rendimento era però limitato dalla sua problematicità, il nostro non esitò a rivolgersi al “mago” tedesco Hans Fromming. Il risultato fu che il figlio di Comacino e Contessa Plinia vinse diversi centrali tanto da partecipare al Gran Premio Italia del ‘64, nel quale fu secondo dietro Navazzo.

Nel decennio successivo una citazione speciale va ai portacolori della scuderia Graziella, distintisi fin da puledri: in primis Grallo, la simpatica Grillona e soprattutto Grim, il quale inanellò dieci vittorie di fila facendo scintillare anche il cronometro. Grande protagonista degli anni Settanta bolognesi fu Mascarpone, vincitore di molti centrali e specialista in particolare delle corse con i nastri, velocissimo com’era nella giravolta: in una occasione neppure l’internazionale Song and Dance Man riuscì ad agguantarlo. Drupa fu la reginetta dell’Arcoveggio nel medesimo periodo; mentre l’acquisto di Fermo rivelò l’abilità di Luciano anche come talent scout: nelle sue mani infatti l’ex mangelliano compì un salto di qualità enorme, affinando in particolare uno spunto micidiale che lo portò ad affacciarsi in prima categoria. Kerigan al contrario aveva la sua arma migliore nella partenza al fulmicotone.

Questi campioncini diedero il via al periodo che vide la consacrazione del nostro come driver di livello nazionale, con la scuderia che si ingrandì al punto di rendere necessaria l’apertura di una succursale a Modena. La serie di grandi soddisfazioni fu inaugurata nell’81, vincendo sulla pista di casa il Gran Premio della Vittoria con Chui e piazzando al terzo posto l’altro alfiere di scuderia Dentice. Nello stesso anno giunse l’affermazione nella prima edizione del Campionato italiano guidatori, in palio a Montegiorgio; titolo bissato nell’84.

Dalle Marche, e precisamente dall’allevamento San Marone, proveniva anche il campione che Luciano ebbe in scuderia in quegli stessi anni: Atod Mo. Dotato di uno scatto iniziale che lo rendeva praticamente imbattibile in pista piccola, ma capace anche di sfoderare un finale travolgente in caso di corsa all’attesa, il figlio di Tom Swift e Decusse (dunque nipote del mitico Tornese) fece suoi il Presidente della Repubblica, l’Andreani, il Repubblica, il Città di Montecatini, il Ponte Vecchio, lo Jegher e il Due Mari, sconfiggendo avversari indigeni del calibro di Lanson, Sperlak, Fedone e Argo Ve, oltre all’americano Our Dream of Mite.

A dire il vero il pigmalione del baio della scuderia Loredana non era stato il guidatore bolognese ma il siciliano Baldassare D’Angelo, che nell’81 lo aveva portato al record italiano dei tre anni; spesso però nell’ippica erano proprio gli exploit a far sì che un soggetto, specie se giovane e così promettente, cambiasse casa, per essere magari affidato dal proprietario ad un trainer dalla sede più centrale – come in questo caso – rispetto al grande circuito nazionale. Con Bechicchi in sulky Atod Mo sarebbe giunto a trottare il miglio sul piede dell’1.13.8, eletto nell’83 cavallo dell’anno e perciò invitato l’anno successivo al prestigioso Elitlopp di Solvalla.

Calegaris fu un altro soggetto di punta della scuderia del Nano in quei magici anni Ottanta; ma fu con Inflated che giunse un ottimo secondo posto nel Derby ‘88, alle spalle del superiore Indro Park. Altra pupilla del pubblico petroniano a pregiarsi della guida del nostro fu Iscatilla, affrontando in diverse occasioni lo stesso Indro Park: saggiamente Bechicchi correva per il secondo posto, sfruttando la maggiore velocità al via della propria allieva per scattare al comando e “mollare” il più forte avversario. Come nel Continentale ‘89, che vide all’Arcoveggio un’accoppiata tutta bolognese essendo il campione che portava il nome di Montanelli guidato dal giovane talento locale Lorenzo Baldi.

Nello stesso anno giunse la vittoria più veloce ottenuta dal “Luciano nazionale”: in sediolo allo svedese Ajax Haleryd, altro scattista d’eccezione che dopo avere fatto man bassa di centrali di prestigio andò a dominare il tarantino Due Mari alla media di 1.12.8, destinata a rimanere a lungo record della pista. Un primato più venale Bechicchi stabilì invece alla guida di Carmelona Lab, pagando al totalizzatore una quota stratosferica: evidentemente, pur nutrendo il “piccolo gigante” un buon numero di aficionados che lo giocavano anche se guidava un somaro, quel giorno erano stati ben pochi ad osare. Altri suoi allievi degni di nota furono Riodoro (il sauro divenuto l’idolo dei bambini, che per questo il nostro volle destinato a fine carriera a un maneggio), Sbirro Is, Usay Trio, Ventaglio Ip, Desi Sprint.

Frequenti poi i suoi sconfinamenti sulle piste toscane, per presentare sempre cavalli al massimo della condizione, e non solo nei centrali. Memorabile in particolare una vittoria ottenuta alle Mulina con American Gigo, modesto routinier che gli allibratori fiorentini avevano offerto a 2 contro 1. Sapendo di come il Nano non fosse tipo da spostarsi per cambiare aria, e beneficiando perdipiù l’ospite bolognese del 2 di steccato, gli scommettitori vi si riversarono in massa. La corsa si risolse in un assolo del cavallo di Bechicchi, che percorse la retta d’arrivo con diverse lunghezze di vantaggio, tra le ovazioni del pubblico ben consapevole di averlo giocato ad una quota più che grassa: tanto che il driver a un certo punto si voltò a guardare la tribuna, probabilmente stupito di tanto tripudio in una corsa di minima e nei confronti di un soggetto che certo non poteva essere un beniamino locale.

Nel 2000 il sigillo a una carriera superlativa: l’affermazione nel Superfrustino, stabilendo in pratica un altro record per la veneranda età di 72 anni alla quale si impose nell’ambito trofeo cesenate, di valore internazionale partecipandovi i migliori driver d’Europa. Destinata a rimanere scolpita nella memoria di quanti vi assistettero la prova conclusiva, in cui la Vecchia volpe mandò in visibilio il Savio con un finale magistrale per senso del traguardo che lo portò ad avere ragione all’ultimo tuffo proprio del “Cannibale” Enrico Bellei (dalla metà degli anni).

Chiusa la storica scuderia dell’Arcoveggio, gli ultimi tempi di attività videro Bechicchi girovagare per gli ippodromi emiliani adeguandosi alla prosaica moda del “catch driver”, che in breve soppiantò la tradizionale figura del preparatore-guidatore. Il 28 luglio 2005 l’ultima vittoria, a Modena, in sediolo ad Amos; mentre l’ultimo convegno in cui scese in pista fu quello ravennate del 28 settembre dello stesso anno, alla guida di Acapulco Max.

Dopodiché il Nano decise di staccare la spina, non rinnovando la licenza. In pochi anni l’ippica italiana era stata sia stravolta da decisioni politiche improvvide che infangata da una serie infinita di scandali: per lui, ultimo epigono di un trotto epico e romantico, era giunta l’ora di farsi da parte. Da allora in poi all’Arcoveggio sarebbe andato in tribuna, sempre più vuota.

Ricordo di Luciano Bechicchi di Giorgio Bertocchiultima modifica: 2021-07-21T21:25:56+02:00da tradersimo
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