Saverio

Nell’iniziare la scuola media gli studenti della I F si erano trovati dinanzi a due sorprese. La prima era data dal fatto che la classe era composta di soli maschi, anacronistico retaggio – negli anni dei decreti delegati e della “democratizzazione” della scuola – di una mentalità pedagogica sessista e confessionale. La seconda era rappresentata dalla presenza di un alunno bocciato due volte, Saverio, quando gli altri erano tutti in pari. Alto, prestante, devoto alla moda giovanile del jeans, Saverio proveniva dalla campagna della periferia, ancora separata dalla città al punto che chi da quelle borgate si recava in centro diceva: “Vo a Prato”, anche se per arrivarvi doveva fare appena un paio di chilometri.

Ovviamente in classe il sedicenne spadroneggiava, affermando il proprio primato per mezzo della superiore forza fisica: se rispondevi a tono alle sue provocazioni e mostravi di tenergli testa ti sentivi annunciare il fatidico “t’aspetto fori”, che ti guastava il resto della mattinata. All’uscita non potevi scappare, altrimenti avresti fatto la figura del vigliacco: e allora lo affrontavi, sul marciapiede, con gli altri schierati tutt’attorno come ai bordi di un ring. In un amen ti ritrovavi spalle a terra, con Saverio che con il minimo sforzo ti dominava, guardandoti con un sorriso tutto suo, tra il complice e il beffardo. Ma quando tra i lazzi dei compagni riprendevi i libri e te ne andavi, ti accorgevi che la breve lotta non ti aveva lasciato alcun segno: non un graffio, non un livido, non un dolore. E allora capivi che l’avversario ti aveva voluto bene.

C’era anche chi si organizzava: Riccardo, primo della classe ma non cuordileone come il suo più celebre omonimo, si era scelto per compagno di banco Nazzareno, ragazzo robusto e coraggioso che allorché Saverio veniva a dare noia non porgeva l’altra guancia ma si ergeva a guardia del corpo dell’amico, inducendo l’attaccante a ritirarsi. Del resto scopo di Saverio era divertirsi, non scazzottarsi con i compagni per poi magari essere espulso definitivamente dalla scuola.

Con il passare del tempo tuttavia il “nonno” della classe divenne simpatico un po’ a tutti. Quando si andava a giocare a pallone al campo del seminario rivelava la sua maturità rispetto agli altri, in un miscuglio di semplicità e saggezza, oltre a uno spiccato interesse per le ragazze; a volte appariva strano che uno così si fosse fatto bocciare, e due volte. Poi prese a invitarci a casa sua: ed era divertente per noi cittadini andare a scoprire quella parte di campagna in bicicletta. Anche il contesto familiare era diverso da quello che ci si sarebbe potuti aspettare: l’ambiente non era certo quello di una famiglia contadina. La mamma di Saverio era un’affermata sarta: affabile e ospitale nella sua bella casa, appassionata di giochi di carte, ci iniziò al Mercante in fiera. Alla fine per alcuni Saverio divenne una sorta di capo carismatico: anche troppo, perché al mattino lui arrivava in anticipo per via del pullman, si infilava nel bar davanti alla scuola e si metteva a giocare a flipper, infischiandosi della prima campanella e, se aveva la partita ancora in corso, pure della seconda. E quindi se rimanevi lì con lui ti beccavi il rapporto.

La collezione delle figurine dei calciatori scandiva tutto l’anno scolastico, con i relativi scambi, febbrili specie a ricreazione: “celo, celo, mima”. Ma anche nei pomeriggi trascorsi con gli amici del quartiere la creatura della Panini faceva la sua parte, in alternativa al pallone: se ne metteva ciascuno un certo numero, si disponeva il mazzo appoggiato a un muro, reclinato, con la faccia delle figurine rivolta verso l’interno, dopodiché dalla distanza di qualche metro ci si alternava al tiro della muriella, il sasso levigato e rotondeggiante che ognuno si era scelto accuratamente. Le figurine che facevi cadere di faccia erano tue: se eri stato favorito dal sorteggio ed eri bravo, potevi anche fare cappotto al primo colpo, nel qual caso se ne mettevano in palio altre, fino ad esaurimento. Trattandosi di doppioni, alla fine comunque andasse non ci rimettevi granché.

In classe un altro personaggio era Massimo, anche per le sue disponibilità finanziarie: era infatti libero di prelevare a piacimento dalla cassa della bottega della madre. La gran parte di quei soldi finivano proprio nell’acquisto delle figurine: Massimo ne portava a scuola a pacchi, che si divertiva a lanciare in aria a ricreazione, con intento al tempo stesso sbruffone e sadico. “Alla baruffa!”, l’annuncio che veniva a interrompere l’attività di ciascuno: chi stava mangiando, chi chiacchierando in corridoio, chi si faceva spiegare da un compagno un esercizio che non era riuscito a risolvere. Automaticamente ci si fiondava verso la parte dell’aula in cui era avvenuto il lancio, gettandocisi a terra e arraffando quante più figurine possibile: con Massimo ovviamente a godersela nell’osservare il parapiglia.

Uno dei ragazzi più temuti della scuola era Cosimo: ripetente anch’egli, magro ma forte, violento e attaccabrighe, lo conosceva bene soprattutto chi, pur non avendolo come compagno di classe, al pomeriggio andava a giocare al parterre. Se ti metteva nel mirino era dura, ma sempre evitando l’onta della fuga; il più fifone era Rodolfo, che alle prime avvisaglie dell’attacco scappava a una velocità degna di Mennea, cercando al contempo di blandire a parole l’altro che lo rincorreva, con esito alquanto comico per chi osservava la scena. L’unico a non temerlo era Massimo: non perché fosse particolarmente impavido, ma perché la madre di Cosimo lavorava nella sua bottega.

Senonché una mattina avvenne l’imponderabile. La discriminazione sessista caratterizzava pure l’ingresso a scuola: le femmine potevano andare in classe al momento in cui arrivavano, mentre i maschi dovevano attendere il suono della campanella a pianterreno, per poi salire tutti insieme, come una fiumana. Ebbene, quel giorno Cosimo prese sotto tiro proprio Massimo, gettandolo a terra e inchiodandolo al pavimento, sordo alle sue suppliche di lasciarlo stare. Nessuno osò intervenire a difesa dell’aggredito; peraltro Cosimo non stava facendo male alla sua vittima, ma si stava soltanto divertendo a sopraffarla.

Saverio doveva aver preso un rapporto di recente, perché quella mattina lasciò il flipper per tempo, giungendo nell’androne nel bel mezzo dell’angheria. Vede il compagno a terra, con quello addosso, e non ci pensa due volte: va lì, con una mano afferra l’energumeno per la maglia, da dietro, e lo tira via, come un fuscello. Ma l’altro non ci sta: prima ancora di capire chi è stato a sollevarlo, si gira e inizia a menare cazzotti all’impazzata, centrando l’avversario al viso. A quel punto anche Saverio passa alle maniere forti, ingaggiando una lotta furibonda come non si era mai vista: nonostante sia penalizzato dal giubbotto, non gli occorre molto per avere la meglio, immobilizzando a sua volta Cosimo al suolo. Inutilmente quello si dimena, tentando di sottrarsi alla morsa: è battuto. Finché il vincitore non lo molla.

Suona la campanella, e Saverio si avvia lentamente verso le scale; dal labbro gli cola un filo di sangue. La sua espressione non è di soddisfazione ma seria, quasi triste: come quella di un uomo che si è visto costretto a fare una cosa che avrebbe evitato volentieri.

Saverioultima modifica: 2022-05-26T20:43:38+02:00da tradersimo
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